Programmatic: il marketing digitale diventa automatico

28 Ottobre 2019 - Digital transformation

 Un’agenzia che vende spazi pubblicitari, un interlocutore umano interessato all’acquisto, una negoziazione.

Questa dinamica, sulla quale si è retto da sempre il mondo dell’advertising, potrebbe diventare presto – se già non lo è – un ricordo del passato, una materia di studio nei corsi di storia della comunicazione commerciale, come Carosello o le aste in TV.

La ragione? L’inarrestabile sviluppo registrato nell’ultimo anno dal cosiddetto programmatic advertising. In pratica software altamente specializzati in grado di acquistare in modo “ragionato” banner o altre forme pubblicitarie sul web.

Di questa realtà, ormai centrale nel mondo della digital ADV, si è ampiamente discusso a luglio 2017, nel corso del seminario su Programmatic e Marketing Automation, organizzato da IAB Italia, associazione che fa parte del network dell’Interactive Advertising Bureau.

 

I numeri di un successo

Il programmatic è davvero migliore dei metodi “tradizionali”? A giudicare dal successo che riscuote nelle aziende si direbbe proprio di sì.

In occasione del convegno di luglio, IAB ha presentato i risultati di una ricerca su questo tema, intitolata “What advertisers want”, evidenziando che il 65% delle società intervistate ricorre al programmatic advertising, e quasi il 30% di esse investe in questo sistema il 25% del budget dedicato al marketing.

400 milioni di euro nel 2017, con una crescita del 25% rispetto al 2016. Il 15% del budget totale della pubblicità sul web.

 

Computer batte uomo…

Più precisione e meno costi. Sofisticati algoritmi analizzano senza sosta i comportamenti dell’utente in rete, ricavando una enorme mole di dati, grazie ai quali le aziende sono in grado di tracciare una profilazione estremamente accurata del target a cui rivolgersi.

Gli esperti sanno bene che tutto parte da qui: dati e target. E il programmatic da questo punto di vista garantisce super-efficienza ed estrema affidabilità.
Sapendo cosa, quando e dove comunicare, le campagne vengono così aggiustate e ottimizzate di continuo, praticamente in tempo reale, permettendo di recapitare ai destinatari un messaggio altamente personalizzato con precisione chirurgica.
In altre parole, incrociando i dati di navigazione con quelli di geolocalizzazione, il contenuto arriva con tempestività perfetta ai soggetti potenzialmente più interessati a riceverlo. Un meccanismo “micidiale”. Non c’è dunque da stupirsi quando, navigando in rete, o direttamente sulla nostra pagina Facebook, sullo smartphone mentre beviamo il caffè al bar, oppure sul tablet prima di addormentarci, ci viene proposto esattamente quello che vorremmo vedere, e nel momento in cui vogliamo vederlo.

 

… ma c’è un ma…

Quanto detto sopra non significa però che il fattore umano abbia perso ogni rilievo in questo campo. Anzi. L’importanza dell’analisi strategica dei dati raccolti dal programmatic richiede una valutazione mirata e consapevole, che nessun computer è in grado di fornire.

La questione è cruciale, tanto che secondo il sondaggio IAB, il 61% delle aziende ha almeno un soggetto interno che si occupa esclusivamente di gestione dei dati, e il 37% dispone addirittura di un team dedicato.

Il lato human ha poi un ruolo fondamentale per quanto riguarda la qualità e la creatività del messaggio.

Ci vuole insomma un cervello “pensante” che ragioni sul contenuto, perché sapere tutto di un consumatore, conoscere i suoi gusti, la sua disponibilità e la propensione all’acquisto, non è sufficiente. Non basta “bombardare”, bisogna anche saper emozionare e coinvolgere. E farlo nel contesto giusto. Se mentre stiamo navigando su un portale dedicato alle mamme ci viene proposta l’ADV di un sito di incontri, significa che qualcosa non sta funzionando a dovere.
Valutare l’appropriatezza del contesto riguarda infine un aspetto ancora più importante: comparire su siti “sconvenienti”, non affidabili o dalla cattiva fama, può causare un danno incalcolabile alla reputazione dell’azienda.

La morale è sempre quella: la tecnologia non restringe le opportunità per il lavoro “d’intelletto” ma le allarga.

Restando in tema, l’evoluzione continua che contraddistingue il mondo del marketing digitale apre sempre nuovi scenari, creando senza soluzione di continuità l’esigenza di nuovi ruoli, nuove indispensabili figure per svolgere lavori che fino a ieri nessuno conosceva.

 

Matteo Civillini

SEO, SEM & Data Specialist